Benedetto da Norcia il giovane che salvò l’Europa

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Cannibali vicino Rimini: due donne uccidono e mangiano diciassette persone…
Non vi allarmate; è una notizia di millecinquecento anni fa.
Roma era caduta in mano barbarica da appena sessant’anni, lo stesso tempo che oggi ci separa dalla seconda guerra mondiale. Sembra ieri, ma sessant’anni sono la vita di una persona che gioca in un mondo e imbianca in un altro che non riconosce più.
La gente era allo stremo, fame e malattie dilagavano; furbi e violenti dettavano la loro legge. Mancava la certezza del futuro. Pensiamo oggi a quanta incertezza hanno prodotto un evento come quello dell’11 settembre e la relativa guerra irachena… ed è un evento non certo paragonabile a quello del crollo di un impero!
La sicurezza che il domani sia controllabile ci rende tranquilli, aperti; ci rende perfino, come piace dirci, liberali e tolleranti.
Siamo tanto abituati a vivere nella nostra sicurezza, da pensare che quella trucida notizia potrebbe accadere (ovviamente) solo in un “Paese in via di sviluppo” e non certo qui da noi! Eppure è il ricordo di una tragedia vissuta proprio dove prima c’erano sicurezza e benessere!
Oggi non riusciamo ad immaginare cosa possa essere un periodo di decadenza, un medio evo; eppure nella storia di tutte le culture e civiltà ci sono stati i “medio evo”. Così, a sbalzi, va avanti il mondo.
Quando tutti entrano in crisi e la paura si trasforma in panico deve essere veramente molto difficile pensare a “ricostruire”; eppure c’è sempre qualcuno che ci pensa, per fortuna dell’umanità.
In quel medio evo che subì la civiltà europea tra la luce greco-romana e il lampo rinascimentale ci fu un uomo capace di ‘pensare positivo’, capace di saper ricostruire. Ricostruire una civiltà è un’impresa da eroi; occorre essere ispirati dall’Alto; non è solo frutto di scelte oculate e di lavoro tenace; occorre avere Idee chiare e pochi se le possono permettere. Benedetto, in questo, fu un vero Inviato.
Qui non abbiamo la pretesa di parlare del Santo, cioè dell’aspetto religioso; ma degli effetti sociali e culturali della sua azione. Fu uomo che seppe parlare al cuore, ma seppe anche capire l’importanza delle cose umane. Comprese che l’eremitaggio esalta l’anima del singolo, ma non basta alla moltitudine e, quindi, che occorreva non solo tramandare la Parola di Dio, ma anche rimboccarsi le maniche. È la semplice, ma efficacissima, ricetta di chi sa ricostruire dal nulla.
L’Ora et Labora racchiude due modi, ma un solo obiettivo: ricostruire la dignità dell’Uomo nella sua globalità di spirito e materia. Indica due forme di preghiera: con l’Anima e con le mani; sì, perché il lavoro diventa preghiera con le mani, se rivolto al bene altrui.
La sua Regola fu anche una regola di vita, di comportamento, perché affronta il tema centrale per quelle generazioni che hanno il destino di ricostruire una civiltà e che, perciò, si chiedono, innanzitutto, a quali princìpi ispirarsi.
Possiamo individuarne almeno tre: la forza della preghiera, perché un uomo o una donna che sanno pregare sono semplicemente “forti”; il lavoro che non è visto come un imbarazzante mezzo per procurarsi la sopravvivenza ma è, come detto, un altro modo di pregare; la disciplina che porta all’unione fra gli uomini affinché possano dirigere tutte le forze verso il loro unico e comune obiettivo (si tratta, allora, di un’autodisciplina).
Chi costruisce una civiltà persegue un obiettivo superiore ai propri desideri personali; deve, diciamo, avere doti speciali: un obiettivo nitido, una grande voglia di lavorare e pochi grilli per la testa. Al contrario, chi distrugge ascolta solo se stesso; anche se, nella sapienza della Natura, è indispensabile anche lui. Ognuno è artefice del proprio destino, diceva una massima latina.
Un altro grandissimo merito di Benedetto (ma non dimentichiamoci di Cassiodoro) sta nell’aver ridato memoria alla cultura greco-romana. Questa capacità di saper unire la propria epoca con quelle precedenti è segno di umiltà, rispetto, ma anche di un progetto.
Oggi siamo sì proiettati al futuro, ma ancora con l’ormai vecchio concetto che il futuro sarà migliore del presente; questo del passato prossimo e quest’ultimo del passato remoto. Insomma pensiamo solo al futuro, senza curarci del passato, se non per metterlo nei musei. È un grave errore che ci sta mettendo in un angolo, in una posizione di stallo culturale molto pericolosa: quella di non avere molta speranza. Infatti, la speranza non nasce solo dal futuro ma anche dalla memoria del passato; come dire: “ricordo, quindi spero”. Chi dimentica non ha speranze e neanche progetti. Un popolo che perde il ricordo della propria storia è condannato alla decadenza.
Quale gravissima frattura per i popoli occidentali sarebbe stata la perdita del ricordo del mondo greco-romano! Non avremmo avuto un Rinascimento e oggi saremmo popoli forse incapaci di capire che sotto i loro piedi la terra nasconde antichi tesori e, diciamocelo, non potremmo neanche guadagnarci con il turismo...
Benedetto nacque a Norcia nel 480, in una famiglia dal destino unico se pensiamo che sua sorella (Santa Scolastica) divise con lui l’avventura spirituale!
Fu mandato a Roma per studiare, ma se ne allontanò subito, disgustato dalla grande corruzione che vi si aggirava. Iniziò così, giovanissimo, la grande scelta.
Capì che non gli uomini dallo spirito buio non si può costruire nulla; occorrevano uomini nuovi. Ben presto ne arrivano, tanti da fondare molti monasteri, fra cui, sul luogo di un antico tempio, la celebre abbazia: un simbolo di continuità nella rinnovazione.
Nel 543 muore la sorella Scolastica. Pochi giorni dopo, la raggiunge, preannunciando ai monaci la sua morte e morendo in piedi, un gesto riservato, anche questo, a pochissimi uomini…
Giusto quarant’anni fa, il 24 ottobre 1964, Paolo VI lo proclamò Patrono d’Europa.
Benedetto fu la primavera della nuova Europa e, infatti, la sua festa era simbolicamente collocata il 21 marzo, il giorno dell’equinozio di primavera che segna l’inizio della stagione della rifioritura; ma fu poi spostata all’11 luglio.
Benedetto somiglia moltissimo ad altri uomini di ampio ingegno che hanno creato altre “primavere”. Somiglia ad un Augusto; somiglia a Petrarca ed ai Rinascimentali; somiglia ad Alessandro Magno nella sua veste di edificatore.
In cosa si somigliano? Nell’ampiezza dei loro orizzonti. Hanno avuto chiara una cosa assolutamente fondamentale: per potersi proiettare nel futuro occorre ripartire dal passato. Se questo ragionamento è stato sperimentato con successo in passato, vuol dire che è una regola imprescindibile della Natura.