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I Milesi rinfacciavano a Talete l’inutilità della sua filosofia, giacché era povero; allora lui, avendo capito con lo studio degli astri che sarebbe venuta una stagione ricchissima di olive, affittò, d'inverno, a un prezzo molto basso, tutti i frantoi di Mileto e di Chio, per affittarli a sua volta a prezzi altissimi quando tutti ne fecero richiesta. In tal modo dimostrò che è facile arricchirsi per i filosofi, se vogliono, ma non è questo ciò di cui si curano.

Un giorno Toth, il dio egiziano dei numeri, della geometria, dell’astronomia, del gioco dei dadi e della scrittura, andò da Thamus, il re dell’Alto Egitto, e gli presentò questi suoi doni. Quando giunsero all’alfabeto, Toth disse: “Questa scienza sarà una medicina miracolosa per la sapienza e per la memoria dei tuoi sudditi”. Il re rispose: “O ingegnoso Toth, il tuo alfabeto produrrà proprio il contrario di ciò che stai dicendo. Gli Egiziani, infatti, fidandosi della sapienza scritta, non eserciteranno più la memoria e richiameranno le cose alla mente non più dall’interno di sé stessi, come dovrebbero, ma dal di fuori, attraverso segni estranei.”

I nostri lettori hanno già incontrato il grande Pietro Mennea nelle pagine di questa rivista (nel n. 7 presentammo un estratto del suo intervento al convegno “Lo sport come educazione alla vita” organizzato dalla sede romana di Nuova Acropoli nel gennaio del 2005).
Ora vi offriamo un’intervista con chi è stato uno dei più grandi atleti del mondo, esempio eccellente di serietà umana e sportiva.

Molti atleti hanno rincorso e raggiunto i loro record spinti da ragioni esistenziali spesso dolorose. Qual è stata la vera forza interiore che l’ha spinta a diventare un’atleta?