Zenone - Voglio una vita paradossale

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Zenone

Voglio una vita paradossale

 

Zenone, la presento ai nostri lettori. Lei è nato e vissuto ad Elea come il suo maestro Parmenide di cui è stato il più fedele discepolo; è figlio d'arte: anche suo padre era un filosofo. Diogene Laerzio la definisce «uomo di eccellenti qualità, sia in filosofia sia in politica» nonché autore di «libri pieni di molta intelligenza» e «uomo virtuoso, ma disprezzante delle cose grandiose». Anche il velenoso Timone scrisse versi lusinghieri: «e di Zenone dalla doppia lingua, che tutti critica, / la grande forza indistruttibile ».

Bontà loro… ma, mi faccia anche dire che so bene che dopo la precedente intervista al mio Maestro Parmenide questa che fa a me è solo per curiosità sui miei paradossi.

Arguta osservazione, però crediamo che proprio i suoi paradossi servano a comprendere meglio Parmenide. Ma proseguiamo: lei è famoso anche per la sua tragica morte. Già, la mia morte.

Avevo congiurato contro il tiranno Nearco, ma fui catturato e lui stesso mi interrogava nella tortura. Allora, finsi di cedeZenonere e chiesi di potergli parlare da vicino per rivelargli importanti segreti. Quando si avvicinò gli azzannai l'orecchio peggio di un mastino, tanto che dovettero uccidermi per liberare quel povero tirannuccio.

Maestro, lei ora ci ride, ma fu un gesto estremo che ricorda l'estremità delle sue argomentazioni.

Che vuole, una fine violenta sembra il destino di molti filosofi… Ipazia, Socrate, alcuni Pitagorici, Thomas More, Giordano Bruno. Al contrario, non mi risulta che un Filosofo, di quelli veri intendo, si sia macchiato del sangue di qualcuno.

Di lei si ricorda un viaggio in cui accompagnò il suo maestro ad Atene dove conobbe un giovane Socrate. È la vicenda su cui ruota il Parmenide di Platone.

Sì, Parmenide ed io arrivammo ad Atene in occasione delle grandi feste per la fondazione di Atene. Ero sui quaranta, mentre il mio maestro era già imbiancato e Socrate, invece, molto giovane. Fu proprio lui a venirci a trovare per discutere sui miei paradossi.

In quell'occasione il giovane Socrate fu messo in difficoltà da Parmenide. Ci riassume brevemente i fatti? Socrate era rimasto meravigliato che io e il mio Maestro giungevamo alla stessa conclusione pur partendo da strade opposte. Parmenide, infatti, sostiene che solo l'Essere esiste mentre io che non esiste il Non- Essere, cioè le infinite cose della vita. Seguì un dialogo fra loro in cui Socrate fu elogiato ma anche messo sull'avviso su due aspetti: che l'amore per la filosofia non l'aveva ancora preso del tutto perché, essendo troppo giovane, continuava a rispettare certe stupide opinioni degli uomini; e che a lui ancora mancava la disciplina della dialettica di cui un esempio gli era offerto proprio dai miei scritti.

Bene, ma ora veniamo ai suoi famosi paradossi così apparentemente assurdi che sembra di arrampicarsi sugli specchi. Tanto per cominciare dobbiamo quasi tutto ad Aristotele; se non fosse stato per la sua meticolosità oggi di lei si sarebbe perso il ricordo.

Verissimo; vede com'è strano il destino? Devo tutto proprio a colui che non capì quello che dicevo. Come già per altri miei contemporanei, anche di me restano appena cinque frammenti riportati da Simplicio. In realtà ne scrissi più di quaranta.

Perché lei scrisse queste argomentazioni e perché usò la tecnica detta "per assurdo"?

Le scrissi per sostenere la filosofia di Parmenide contro coloro che, invece di cercare l'Essere, restano affascinati dal Non-Essere e credono che il movimento e la molteplicità siano cose vere, quando invece sono solo apparenze mascherate di veridicità. La mia tecnica poi consiste nel prendere un'affermazione che sembra sostenere una cosa evidentissima per dimostrare, invece, che porta a conclusioni assurde.

Anche Aristotele distingue tra le argomentazioni sul movimento e quelle sulla molteplicità. Ora, non avendo lo spazio per vederle tutte, di quale preferirebbe parlare?

Direi una sul movimento, magari quella famosa di Achille e la tartaruga, ed una sul molteplice, quella del chicco di grano.

Secondo alcuni commentatori le sue argomentazioni sarebbero rivolte contro i Pitagorici perché vedevano nel Numero la dimostrazione dell'esistenza del molteplice.

Sciocchezze, non sanno chi erano veramente i Pitagorici e quanto io sia vicino a loro. Vi piace cementare i filosofi dentro schemi, e allora Parmenide lo definite fondatore del ragionamento "astratto" e me del "paradosso"; la scuola di Mileto come quella dei "fisici" e così via. Definizioni, solo schemi mentali, come tanti piccoli loculi dove seppellire quelli che chiamate Presocratici, perché non diano fastidio.

Queste polemiche le abbiamo già sentite. Maestro, cominci pure dal paradosso sul movimento.

Se lei mi provoca... ma iniziamo. Per tutti gli uomini il movimento esiste: le cose cambiano di posto; noi stessi ci spostiamo da un punto all'altro. Tutta la vita non esisterebbe se nAchille e la tartarugaon credessimo nella possibilità di muoverci. Voi moderni l'agitarsi non lo chiamate progresso?

Dimostreremo, invece, che il movimento è solo illusione, cominciando con l'esempio del veloce Achille che sfida ad una gara di velocità una tartaruga. Tutti pensano che vincerà l'eroe greco.

Ma certo, è evidente.

E invece… mi segua nel ragionamento. Supponiamo che il veloce Achille, sicuro di sé, sfidi una tartaruga ad una gara di velocità e dia ad essa anche un po' di vantaggio. Questa percorrerà il tratto da A a B. Giunta a B, parte anche Achille. Ora, nel tempo che Achille impiega per raggiungere il punto B, la nostra tartaruga avrà fatto un altro po' di strada, giungendo a C. Nel tempo che Achille impiega per raggiungere questo nuovo punto, la nostra cara amica avrà raggiunto un altro punto ancora e così all'infinito. Neanche se Achille arrivasse a ridosso della tartaruga avverrebbe il sorpasso, perché ci sarebbe sempre una frazione di spazio a vantaggio della tartaruga. Quindi, per logica, Achille non raggiungerà mai la tartaruga!

Guardando l'esempio da un altro punto di vista si potrebbe anche dire che Achille e la tartaruga restano immobili, perché occupano sempre "uno" spazio che è quello della propria grandezza e un corpo che occupi uno spazio uguale a sé stesso è nello stato di quiete. In questa magica corsa Achille e la tartaruga iniziano la loro gara in uno spazio umano, ma finiscono con l'entrare in uno spazio surreale. In altre parole come può la somma di spazi infinitesimi diventare uno spazio infinito? Come può il non-movimento diventare movimento? Come possono coesistere quiete e moto?

Il suo ragionamento sembra perfetto, però lascia perplessi. Ma prosegua con l'altro paradosso sul molteplice.

Bene; per la gente comune un oggetto che cade fa rumore. Infatti, se lascio cadere da una certa altezza un sacco di grano, si sentirà un forte rumore; se lascio cadere un solo chicco, si percepirà un debole rumore. Ma, se spezzo un chicco di grano in cento parti e ne lascio cadere una sola, si sentirà rumore?

Direi di no, non si sentirebbe nulla.

Eppure sappiamo che c'è proporzione fra le cose e quindi anche fra i suoni; per cui se un sacco di grano cadendo fa rumore lo farà anche un microscopico pezzetto. Di nuovo, come può una somma di silenzi dare origine ad un suono? Come può una somma di parti diventare un tutto?

Per logica sarebbe così, ma questa è solo dialettica! Infatti, per Aristotele sarei l'inventore della dialettica che lui intende come ragionamento su premesse che sembrino probabili. Lei, però, sembra dare un significato negativo a questa parola.

Suvvia, Zenone, vuol farci credere che il veloce Achille sia più lento di una tartaruga? È un bel ragionamento, ma lei sa bene che è fuori da ogni possibilità! Lo so, ma è proprio qui il punto. La realtà dei sensi ci dice una cosa, ma la forza del pensiero ci può portare all'opposto.

Aristotele la critica sostenendo che il tempo ed ogni altra grandezza non sono divisibili all'infinito, ma hanno sempre una durata, anche se minima. Anche le "serie convergenti" del calcolo infinitesimale le danno torto.

So bene che le "serie convergenti" dimostrano come prima o poi Achille e la tartaruga si dovranno incontrare e che lì avverrà il sorpasso. Lì il mistero dell'Immensità sembra adeguarsi ai nostri sensi; come se entrasse in un imbuto per farci arrivare solo un piccolo assaggio della Vita.

Comunque, mi lasci anche dire che Russel mi dà il merito di aver aperto la mente alla suddivisione all'infinito che sta alla base proprio del calcolo infinitesimale.

Che dire poi della fisica quantistica dove si studia il mondo dell'infinitamente piccolo, un mondo dove ci sono regole molto diverse da quelle usiamo con i sensi? Qui le mie provocazioni sono ancora valide. Ecco, proprio qui dove la mente non sa dove andare e i sensi si sentono disorientati, proprio qui ci sono io a sghignazzare…

Maestro, dobbiamo chiudere. Le chiedo una conclusione.

Con le mie provocazioni voglio scardinare quella muraglia di certezze che ci costruiamo nel corso della vita su tutto quanto ci sta attorno. Voglio portare l'essere umano a chiedersi cosa sono l'infinito, il divisibile, il continuo. Voglio mettere in guardia sia dal pensiero asservito ai sensi, sia dal pensiero che si gloria di sé stesso. Invito l'Umanità a non prendere per oro colato ciò che vede, a non considerarlo come assolutamente vero. Anche se l'Uomo arrivasse a scoprire l'ultima particella di tutte le particelle, oltre la quale non esistesse altro, lei pensa che questa scoperta sarebbe sufficiente a migliorare l'Anima umana anche di un solo millimetro? Non credo che la conoscenza solo del "fuori" possa bastare.

Per questo tifo per la tartaruga...


Giuseppe Santilli