Hosni, un ragazzo come noi

 

Hosni, un ragazzo come noi

La storia di un ragazzo siriano

 

Hosni ha tredici anni, un viso ed un taglio di capelli come tanti dei nostri bambini “occidentali”, una tuta, un paio di scarpe solo un po’ meno alla moda dei nostri piccoli adolescenti, una vitalità ed un’ intraprendenza da far invidia ad un ventenne in piena salute. Hosni ha una sorella ed una cugina che scambieresti con una tua coetanea del liceo o una collega matricola dell’università, ed un amico, Alì, che sfoggia il suo stesso sorriso, fatto di gioia e spensieratezza. Li accomuna il desiderio di imparare qualche parola della lingua di un Paese al di là del mare tanto agognato e osservato in televisione, di conoscere i nostri nomi (esotici per loro quanto i loro per noi). Hosni ha una zia (che non è nera, né scura, né corvina né particolarmente “africana”, bensì bionda e di carnagione chiara), che ha imparato l’inglese guardando i programmi delle reti satellitari e che ci chiede, quasi improvvisamente: “Perché fate questo? Perché siete qui?”.

Nuova Acropoli - Solidarietà e Volontariato in aiuto degli ImmigratiUna domanda che forse noi abbiamo smesso di porci, per l’abitudine e per il senso del dovere inconscio che ci siamo autoimposti. Una domanda che, paradossalmente, dovremmo fare noi a loro. Una domanda che, forse, per le loro esigenze ha una risposta semplice, mentre per noi potrebbe non essere così immediata.

Hosni e Alì mi raccontano del loro viaggio durato quasi sette giorni dalla natia Damasco, per terra e per mare, alla volta di un Paese in cui non vogliono rimanere (e ce lo ribadiscono anche con parole veementi le poche donne anziane che provano a ribellarsi alla “cattività” a cui le costringiamo per le nostre, forse sacrosante e forse no, esigenze burocratiche), un Paese che forse non ricorderanno se non per la pizza ed i biscotti di mandorla. Sono due bambini che hanno attraversato una frontiera fatta di mare e di sete, di terra e di fame, di dolore e incertezza, di speranza e disillusione. Percorrono lo spazio che siamo riusciti a mettere loro a disposizione con la stessa incoscienza e spontaneità che potrebbero avere nel cortile delle loro case, con gli stessi sorrisi, le stesse risate e gli stessi giochi di parole che dedicano ai loro coetanei. Provano ad indossare scarpe, magliette, pantaloni (“pantalon” li chiamano loro) e cappellini, scherzano sui nostri nomi, ci chiedono delle nostre vite, indagano sulle cibarie e sulle bevande che abbiamo disposto sul tavolo; si offrono di aiutarci a disporre le brande per la notte per le loro famiglie, poggiano le coperte sulle spalle delle loro madri e sorelle, stremate dal sonno e dalla sofferenza, si informano sullo stato di salute dei bimbi più piccoli, ci chiedono dove andranno e se saranno ancora insieme. “I don’t know”, siamo costretti a rispondere. Nel loro inglese stentato ci hanno descritto la situazione caotica e tragica del loro Paese di origine e, alla nostra domanda forse brutale ma schietta, su come si evolve la situazione, non trovano le parole adatte, o forse non riescono ad esprimerle per la commozione, e ci rispondono con agghiaccianti ed universali suoni onomatopeici (“boom, baam, bang”) che non lasciano spazio a dubbi.

Noi di Nuova Acropoli, a supporto della Capitaneria di Porto e delle altre forze dell’ordine, ed insieme a tutte le altre associazioni di volontariato di Siracusa, affrontiamo quotidianamente un’emergenza che - ci convinciamo ogni giorno di più - ha superato i limiti della contingenza ed ha raggiunto livelli di importanza oseremo dire epocale. A fronte dell’ipocrisia generale imperante e delle incapacità manifeste della politica (che dovrebbe essere quella con la P maiuscola), abbiamo dato e continuiamo a dare il nostro piccolo contributo: abbiamo fornito assistenza allo sbarco, supporto logistico e di primo soccorso. C’è chi si è prodigato per ore e fino a notte tarda, nonostante la giovane età, a porgere bicchieri e piatti di bevande a centinaia di braccia protese, chi ha predisposto brande ed avvolto in coperte donne e bambini, chi ha offerto giochi ed allegria a ragazzini neanche decenni, selezionato e invitato ad indossare abiti di tutti i tipi; ma ancora di più abbiamo offerto la nostra attenzione, il nostro cuore e le nostre menti alle loro domande ed alle loro esigenze. Abbiamo fatto quello che facciamo sempre e immaginiamo possano fare tutte le anime di questa Terra per i loro simili: credere nell’Umanità e nella sua evoluzione.

 

Sebastiano Scifo