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Una mano sfiora, virile e delicata, spighe mature…
È la mano del generale Massimo Decimo Meridio; è la scena-simbolo del Gladiatore, uno dei film di maggiore successo degli ultimi anni.
Quell’immagine poetica è anche l’icona del Romano antico: guerriero e contadino insieme. Questa “doppia vita” è la seconda idea-cardine che consentì a Roma di mantenere il ritmo per dodici secoli nell’aggregare le culture mediterranee. La prima, la più importante, fu il mantenere vivo lo spirito religioso. La Storia non la decidono solo gli umani; nasce dall’Alto, non dal basso come gli ingenui “moderni” credono,

 perché non bastano buoni ideali politici o una buona organizzazione sociale; se non c’è un forte spirito divino che animi un popolo non c’è civiltà, al massimo appena una cultura…
Quell’immagine è la riedizione di un antico prototipo: Cincinnato, l’uomo che accudiva al suo campo quando venne chiamato da Roma alle armi; lasciò il campo, combatté, vinse e tornò alla sua terra. È un modello di vita semplice, ancorato ai ritmi della natura, ai tempi del sole, della pioggia e del vento.
Queste sono le due colonne che animano Roma dalla fondazione al termine delle guerre puniche; poi l’abbrivio e la decadenza, con qualche folgorante lampo fra cui Augusto e i suoi amici e, fra questi, Virgilio, il cantore della grande avventura dell’Urbe, ma anche il cantore della piccola vita contadina.
Le sue Bucoliche, ma soprattutto le Georgiche, sono il canto innamorato, di disperata nostalgia per quella vita che fu costretto ad abbandonare dopo averla assaporata negli anni più belli: quelli dell’allegra giovinezza, i cui ricordi restano per sempre nella memoria.
Figlio di contadini, crebbe nelle campagne del mantovano, fra corse nei prati, arrampicate sugli alberi, ampie distese di grano. Ronzio d’api, belati e muggiti sono i suoni che rivivono nei suoi versi, come una favola, un’antica nostalgia; come un ricordo intenso, viscerale, di persone molto care, della casa d’infanzia, degli amici, dei giochi…
Tutto questo svanì quando, a trentadue anni, i triumviri vincitori a Filippi contro i cesaricidi, spartirono fra i loro soldati le terre di Cremona, che aveva parteggiato per gli sconfitti. Non bastando furono prese anche alcune terre del mantovano, fra cui quelle del padre di Virgilio.
Però la sfortuna fu la sua fortuna. Virgilio arrivò a Roma portando con sé l’anziano padre, ormai cieco, come il suo Enea con il padre Anchise…
Conobbe Mecenate e Augusto…
Virgilio non è un intellettuale che narra di cose che lo emozionano; non è un alessandrino, come Teocrito, non un falso e sdolcinato pastorello arcadico; lui ha vissuto ciò che mette in versi.
A rileggerlo con occhi moderni sembra un poeta ecologista; ma è molto di più, perché non canta solo la natura; canta anche un’Età d’Oro ormai fuggita dal mondo.
Il suo amore per la Natura non somiglia al nostro moderno ‘sentimento di natura’, che non è amore ma solo desiderio profondo di lasciarsi alle spalle le infernali città, come accade nel rito vacanziero di milioni di umani nel mondo. Oggi abbiamo un rapporto con la natura feroce e fugace….
Zavorrati di ansie cerchiamo rifugi veloci in terre lontane illudendoci di “riposare”, perdendo ore ed ore a indorarci con sapienti abbronzature. Ma pochi giorni trascorsi in ambienti finto-naturali non ci trasformano in uomini “naturali”; né facendo la raccolta differenziata e neanche facendo i vegetariani o gli “animalisti” o trascorrendo il tempo libero a correre fra boschi o in erte scalate; né l’orto sotto casa ci trasforma in veri contadini.
Per essere veramente “naturali” occorrerebbe essere… disciplinati; ovvero avere un ordine interno ben preciso ed inamovibile: il Divino al primo posto; poi tutto il resto! Così si è “naturali” ovvero di entra, si penetra nella gerarchia naturale dove tutto è presenza divina.
Questa è la Natura in Virgilio.

Nei suoi versi si rintracciano idee solide…
… il Divino al di sopra di tutto:
“Venera per primi gli dei e alla gran Cerere / ogni anno rinnova le offerte (Georgiche, I, 338-339)
Il suo Enea rinuncia all’amata Didone ed obbedisce al volere del Fato che lo vuole altrove.
…la vita contadina è una vita ordinata:
ogni cosa al suo posto e a suo tempo.
Non a caso Platone sembra collocare i contadini (insieme con gli artigiani, altri uomini “semplici”) nel ruolo di “rigeneratori” quando la società, passata per tutte le esperienze di governo possibile e caduta in fine in mano ai tiranni, trova la forza di rinascere, ripartendo da idee naturali; ovvero dalle Leggi della Natura, si rigenera un nuovo ciclo. Oggi non sarebbe più rivoluzionario questo concetto che mille rivoluzioni di altrettanti colori?
Oh, i troppo fortunati agricoltori, se sapessero dei loro beni! / (…) una pace serena; una vita inesperta d’inganni / ricca di varie dovizie, e riposi in aperta campagna, / grotte e vividi laghi, freschissime valli / muggiti di buoi e sonni beati all’ombra d’un albero / non mancano loro; qui pascoli e tane di fiere / giovani avvezzi al lavoro e contenti di poco / la pietà degli dei e il culto dei padri; tra loro / l’ultime orme lasciò la Giustizia fuggendo dalla terra.
(Georgiche II; 458-459, 467, 472-474)
I cari figli frattanto s’appendono al collo con baci, / fedele alla pudicizia è la casta dimora (Georgiche, II, 523-524)
…la Natura è un canto d’Amore
Brilla qui primavera, qui fiori svariati riversa / lungo i fiumi la terra, qui il candido pioppo l’antro / sovrasta e le viti ritorte intessono ombrosi ripari (…)
(Bucoliche, IX, 40-42)

… la Natura ripaga sempre il duro lavoro
L’agricoltore smuove la terra con aratro ricurvo: / da ora il lavoro di un anno, da qui sostenta la casa / e i piccoli nipoti, da qui gli armenti di buoi e giovenchi preziosi.
(Georgiche, II, 513-515)

Il celebre verso assurto a massima:
Labor omnia vincit improbus,
Il lavoro duro vince ogni cosa
(Georgiche, I, 145-146)

La vita di campagna come ricordo dell’Età d’Oro... il tempo in cui gli uomini vivevano felici in un Mondo divino; quel comune sentimento umano di aver perso qualcosa di meraviglioso per dover entrare in un’epoca oscura…
Tali, credo, brillarono i giorni al principio / Dell’origine del mondo, tal ebbero ritmo; era quella la primavera e la ricca primavera agiva sul mondo (Georgiche, II, 336-338)

Prima di Giove nessun colono arava la terra, / né si usava segnarla, o dividere un campo coi termini: / si raccoglieva in comune e la terra generosa, / senz’alcuna richiesta, da sé produceva ogni cosa.
(Georgiche, I, 125-128)

Queste idee sono alla base della grandezza di Roma…
Questa vita osservarono un tempo gli antichi Sabini, / questa Remo e il fratello, così crebbe forte l’Etruria, / così, e Roma divenne la più bella fra tutto (Georgiche, II, 532-534)
…e dell’Italia
Salve madre opulenta di frutti, terra saturnia / gran madre d’eroi (Georgiche, II, 173-174)

Idee solide, dicevamo. Ma le idee sono solide quando sono vissute tutti i giorni, non quando sono ricordate; allora è già tardi… Così Virgilio, nonostante sia sincero, è già un ricordare, è già letteratura, è già nostalgia. I tempi di Cincinnato erano lontani e, ormai, si poteva solo salvare il salvabile per aprire un nuovo ciclo e questo è proprio il significato del periodo augusteo.

Dante e Virgilio
Perché Dante sceglie proprio Virgilio a guida nel suo cammino allegorico?
Forse per lo stesso motivo per cui Virgilio, a Napoli (dove fu sepolto) per secoli venne considerato mago e taumaturgo, quasi come un precursore di San Gennaro?
Forse Virgilio non fu solo un “poeta”…
A tanti poetastri moderni che si arrotolano nella disperazione infruttifera e senza fondo preferiamo la serenità e dignità virgiliana. Leggere Virgilio non deprime, ma innalza i cuori.
Il suo nome meriterebbe di essere ricordato più spesso! Invece oggi è noto solo se seguito da “.it”…