Mantegna (1431-1506)

«Ebbe sempre opinione Andrea che le buone statue antiche fussino sempre più perfette e avessino più belle parti che non mostra il naturale [...] Mostrò costui col miglior modo come nella pittura si potesse fare gli scorti delle figure al di sotto insù, il che fu certo invenzione difficile e capricciosa.»
Così scrisse Giorgio Vasari di Andrea Mantegna celebrando il suo genio e spiegando i motivi della predilezione dei canoni scultorei nella creazione figurativa del grande artista.

Così scrisse Giorgio Vasari di Andrea Mantegna celebrando il suo genio e spiegando i motivi della predilezione dei canoni scultorei nella creazione figurativa del grande artista.
L’importanza della scultura nel disegno pittorico fu indubbiamente indicativa di un intero periodo, quale fu il primo Rinascimento nell’Italia settentrionale, caratterizzato appunto, da una profonda conoscenza dei classici e dalla loro “imitazione” da parte dei più grandi artisti, più che mai convinti che il modo di comporre le anatomie secondo i canoni classici fosse quanto di più vicino alla perfezione.
Le nove tele con i Trionfi di Cesare, realizzate dal Mantegna intorno al 1486 e concluse entro il 5 e conservate nel Palazzo Reale di Hampton Court a Londra, sono la dimostrazione della passione antiquaria del grande maestro, che si impegnò, inoltre, personalmente nella raccolta di marmi e antichità.
Le sue invenzioni compositive furono diffuse attraverso disegni e stampe e conobbero un’ampia diffusione tra molti scultori ed orafi in Veneto e in Lombardia, rivestendo una notevole importanza nella creazione pittorica delle epoche successive (osserviamo, a questo proposito, l’opera Cristo morto di Hans Holbein il Giovane del 1521).
Ma oltre al riconoscimento del suo genio già presso i contemporanei, al Mantegna va certamente attribuita una ricerca che negli anni divenne sempre più profonda ed innovativa, generando alcuni tra i suoi più conosciuti capolavori, tra cui il Cristo morto della Pinacoteca di Brera.
La caratteristica più evidente del dipinto è certamente l’immagine del corpo disteso del Cristo, che, come l’invenzione prospettica della balaustra realizzata nella Camera Picta, rappresenta un’originale posizione mai vista nella pittura fino ad allora conosciuta.
Ad una lettura superficiale l’opera si presenta al di fuori di ogni schema rappresentativo nel modo di raffigurare Gesù, scorciato da un punto di vista basso che mette in primo piano i piedi: in realtà è l’intero corpo ad assumere un’importanza che va ben oltre la sacra rappresentazione del santo sepolcro. La narrazione di un evento sacro diviene così un racconto descritto con un crudo ed impietoso realismo e per questo l’opera va collocata tra quelle che esaltano maggiormente la dimensione umana e terrena del Cristo.
Dal punto di vista della raffigurazione artistica questo genere di rappresentazione che mette in primo piano il dolore ed i segni della crocefissione si definisce Cristo dolente oltre che Uomo di dolori.
È lontana, e concettualmente diversa, l’idea medioevale del Cristo trionfante, che in molte Croci dipinte, come quella di Berlinghiero nel 1210, rivelano l’espressione sovraumana nella calma fissità di un volto che esalta più di tutto la vittoria sulla morte.
Nell’opera del Mantegna, al contrario, il colore terreo e lugubre che investe il corpo è quanto di più lontano dalla morbidezza tonale della pittura veneta dello stesso periodo; il disegno aspro e asciutto dell’artista nulla concede ad una rappresentazione che deve innanzitutto rivelare i segni della sofferenza del Cristo e provocare nell’osservatore quel senso di oppressione visiva, dettato dal rigoroso gioco prospettico adottato.
A tutta questa “invenzione difficile” va aggiunta la considerazione che tale dipinto fu una delle prime opere realizzate su tela e che, probabilmente, in quanto la datazione è incerta, fu dipinto dal Mantegna verso la fine della vita, avvenuta nel 1506, per la propria tomba nella chiesa di Sant’Andrea a Mantova.