Canaletto

Giovanni Antonio Canal, detto il Canaletto, nacque a Venezia nel 1697. Figlio del famoso scenografo Bernardo e di Artemisia Barbieri, diede inizio alla sua attività artistica collaborando con il padre ed il fratello maggiore Cristoforo nei più famosi allestimenti teatrali veneziani sino al 1719, anno del suo soggiorno a Roma, dove apprese le tecniche del cosiddetto “paesaggismo” romano e nordico, attraverso le opere degli artisti stranieri che vi soggiornavano.
Ebbe gran fama anche all’estero: sin dal 1725 lavorò per i mercanti d’arte inglesi e, quando si recò in Inghilterra, dove rimase sino al 1755, fu accolto con grandi onori.
Il genere pittorico a cui aderì in quegli anni fu quello della “veduta esatta”, termine che definiva un ambito distinto dalla semplice pittura di paesaggio e che ebbe una grande diffusione in Europa, riscuotendo successo soprattutto presso la clientela straniera.
Le immagini di “veduta” furono, infatti, un preziosissimo souvenir dei monumenti e degli scorci più pittoreschi della celebre città lagunare.
La produzione artistica del Canaletto si colloca in un’epoca che artisticamente segna il passaggio dal gusto decorativo “rococò”, fondato su un edonismo puramente estetico, ad un nuova presa di coscienza della realtà umana e naturale dettata dall’Illuminismo e fondata su valori scientifici e razionalisti. È nel 1765, infatti, che il pittore e incisore Francesco Algarotti teorizzò la cosiddetta “camera ottica”, strumento in grado di riprodurre le caratteristiche dell’occhio umano, peraltro già inventata nel 1665: “(…) Quell’uso che fanno gli astronomi del cannocchiale, i fisici del microscopio, quel medesimo dovrebbero fare della Camera ottica i Pittori. Conducono egualmente tutti cotesti ordigni a meglio conoscere e a rappresentar la Natura”.
Si comprende, dunque, in quale clima culturale operò l’artista, che, già tra il 1728 e il 1730, aveva realizzato il celebre “Quaderno dei disegni”, con vedute paesaggistiche e architettoniche ottenute con tale strumentazione.
I rilevamenti da lui effettuati “in loco” venivano poi rielaborati in studio e costituivano la necessaria fase preparatoria alla propria pittura.
D’altra parte l’esigenza di integrare l’elemento naturale con quello architettonico era stata la lezione appresa direttamente dal padre; tuttavia il Canaletto, dopo il 1730, preferì alla tradizionale prospettiva scenografica, basata sull’illusionismo, un rinnovato “vedutismo” cosiddetto atmosferico.
Egli può definirsi, per questo motivo, l’artista che seppe confrontare e mirabilmente unificare la visione oggettiva della realtà dettata dalla camera ottica con una soggettiva interpretazione delle immagini: il contrasto tra luci ed ombre ed i chiaroscuri intensi, l’attenzione meticolosa per la varietà degli stati atmosferici e l’uso di colori tersi e puri rivelano l’intuizione poetica del Canaletto che nella propria produzione non rimase ancorato ad un puro “realismo”, come molti critici affermarono, quasi definendolo un precursore della fotografia.
Nelle sue opere permane un’indagine sulla realtà, condotta con criteri scientifici, finalizzata su un elemento quale la luce, volutamente còlta nelle varie ore della giornata: le figure umane, disposte in spazi equilibrati e garbatamente ritratte, se pur considerate ancora come complementi descrittivi della veduta generale, preannunciano il gusto romantico per una dimensione cosmica in cui l’uomo è totalmente immerso, senza mai divenire, tuttavia, il soggetto principale.