L’Isola della Salute (prima parte)

L’isola Tiberina è posta al centro del Tevere, nell’area che nella Roma antica si chiamava Campo Marzio. Era dedicata a Tiberino, dio del fiume.
Nel corso del tempo l’isola ha assunto diversi nomi: Insula Tiberina in origine; Insula Aesculapii in seguito alla costruzione di un tempio dedicato ad Esculapio; in Plutarco e nei “Liber Pontificalis” viene citata come “Insula inter duo pontis”; in epoca cristiana prese il nome di San Bartolomeo dall’omonima chiesa, mentre in epoca medievale Insulae Romae.


Le sue origini sono legate alla leggenda e molti sono i racconti nati intorno alla sua formazione.
Tito Livio, pur non esprimendosi sulla veridicità della leggenda, scrive in “Ab Urbe condita”, riguardo all’anno 509 a.C.: «Le terre dei Tarquini che si trovano tra la città e il Tevere furono consacrate a Marte, diventando così Campo Marzio.
Si dice che, proprio nel giorno della cacciata dei Tarquini, vi fosse una messe di farro maturo per essere mietuto ma, poiché sarebbe stato sacrilegio approfittare di quel raccolto, la gente accorsa, tagliate le spighe con tutto lo stelo, le mise dentro delle grosse ceste e le gettò nel Tevere che -essendo di mezza estate - scorreva con poca acqua.
I mucchi di frumento, attardandosi nei punti poco profondi, finirono per fermarsi ricoprendosi di melma; quindi a poco a poco, con l’accumularsi di tutto ciò che il fiume è solito trasportare, si formò un’isola.»
Plutarco aggiunge che i Romani, dopo aver gettato i covoni di grano, abbatterono e scaraventarono nel fiume gli alberi che crescevano nella pianura, sì da lasciarla completamente spoglia e sterile in onore del dio.
Leggende a parte, era convinzione comune presso gli antichi che l’isola Tiberina non esistesse prima del periodo della monarchia. Comunque, da recenti trivellazioni ad una profondità di cinquanta metri, è risultato che l’isola Tiberina è effettivamente di formazione sedimentaria, risultante dalla progressiva stratificazione di materiale (specialmente sabbia e ghiaia) trasportato dalla corrente e arenatosi in quel punto in cui una profonda insenatura riduce l’impatto dell’acqua nell’ansa del fiume, favorendone il deposito.

Dai ponti che collegano l’isola alla terraferma possiamo osservarne un altro, che attraversa il Tevere da una sponda all’altra, o meglio ciò che ne è rimasto, il Ponte Emilio, o, come oggi è chiamato, Ponte Rotto. Fu costruito nel II secolo a.C. e, crollato nel Medioevo, fu rifatto varie volte. Racconta in proposito il Vasari di come una volta, percorrendolo in compagnia di Michelangelo, questi lo sollecitasse ad affrettarsi perché temeva che “il ponte potesse rovinare sotto i loro piedi”. Michelangelo non aveva tutti i torti perché dopo pochi mesi così accadde.
Fu ricostruito nel 1575 sotto Gregorio XIII e chiamato Ponte S. Maria, ma pare che i lavori non fossero stati eseguiti bene. Infatti, durante la piena del Natale 1598, il ponte crollò definitivamente. Nel 1887 venne demolito per far spazio al nuovo ponte Palatino, risparmiando soltanto il bellissimo arco decorato dal drago dei Boncompagni.1

Il ponte che collega l’isola Tiberina a Trastevere, è il Ponte Cestio, eretto nel I secolo a.C. da Lucio Cestio. È a tre arcate e fu restaurato nel 370 dagli imperatori coreggenti Valentiniano I, Valente e Graziano. Fu rifatto nel 1892 utilizzando parte del materiale originario, numerando le pietre e smontando il ponte, per ricostruirlo esattamente com’era. Purtroppo le cose non andarono esattamente così, perché molte pietre si spezzarono o caddero nel fiume, venendo trasportate via dalla corrente; dei 563 pezzi ne vennero riutilizzati solamente 347.

Il ponte che collegava l’isola all’attuale Ghetto era il più antico della città, Ponte Sublicio (che prendeva il nome di Fabricio se lo si imboccava dal lato orientale). Questo ponte fu luogo delle epiche e leggendarie gesta di Orazio Coclite, che qui avrebbe ritardato da solo l’avanzata delle truppe etrusche.
Il Ponte Sublicio, a due arcate, fu costruito in legno probabilmente intorno al 192 a.C. e, rifatto nel 62 a.C., è giunto a noi quasi intatto. È anche chiamato Ponte dei Quattro Capi per le erme quadrifronti poste sulle spallette. La leggenda narra che sono le teste dei quattro architetti assunti per il restauro del ponte e fatti decapitare da Sisto V perché litigavano di continuo tra loro.

Il ponte era sacro in quanto simbolicamente esprimeva il collegamento realizzato tra due mondi. La costruzione dei ponti, cioè dei passaggi da un dominio ad un altro di realtà, era esclusiva del sacerdozio e per questo i supremi capi della casta ieratica venivano chiamati Pontifices (da pons e facio, ovvero “edificatori di ponti”). Il ponte, andando dalla Terra al Cielo, consente agli Uomini di ripercorrere a ritroso il cammino seguito durante la “caduta”

1 Famiglia bolognese che dette i natali a papa Gregorio XIII (1502-1585), famoso per la riforma del calendario che da lui prese il nome di “gregoriano”.